Lo spazio del corpo che abita il mondo

Lo spazio del corpo che abita il mondo

Buon 2025 a tutte/i. Questa nostra prima pubblicazione dell’anno ha il piacere e l’onore di ospitare il dr. Paride Zappavigna, figura unica nel mondo dell’odontoiatria e della formazione.

Leggete attentamente il suo primo contributo editoriale, vi aprirà gli occhi su molti aspetti della nostra professione ma anche della nostra vita!

Lo spazio del corpo che abita il mondo

L’Odontoiatria è una di quelle discipline mediche che svolgono un’azione importante su una parte del “corpo”, l’apparato stomatognatico, attraverso pratiche chirurgiche, protesiche e ortodontiche che agiscono con modificazioni evidenti, spesso permanenti. L’ASO è un attore protagonista che collabora con l’Odontoiatra in questo svolgimento: assiste nell’azione, ma al contempo supporta la dimensione psichica del paziente che ci affida questa parte del suo corpo per le cure.

Ieri e oggi

Nel passato l’iconografia del dentista è stata rappresentata come associazione al dolore. Si andava dal dentista quando si aveva male a un dente, più che per la cura della bocca. La liberazione dal dolore, attraverso l’estrazione dentaria da parte di quello che un tempo era definito un “cavadenti”, era infatti addirittura uno spettacolo di piazza, per la rappresentazione scenica di un momento liberatorio collettivo dal dolore. Una lunga tradizione della pittura di genere, iniziata da Caravaggio fino al veneziano Pietro Longhi, racconta tra atmosfere grottesche e quasi circensi (una nana, una scimmia) di ciarlatani che hanno un potere, quello di mettere fine alla sofferenza, e comunque di un rito esibito e condiviso in pubblico.

Ora, invece, la spinta motivazionale ad andare dal dentista è gradualmente sostituita dal desiderio di non ammalarsi (prevenzione), ma ancor più di avere un “bel sorriso” o di “ringiovanirlo” quando invecchia. Su questa prevalenza estetica, che si sta affermando, vorrei fare qualche riflessione con gli ASO, per comprendere come il corpo sia percepito nella nostra contemporaneità.

Il corpo nelle diverse epoche

Ogni epoca e ogni cultura hanno avuto un rapporto specifico col corpo e gli hanno attribuito significati diversi. Oggi si sta affermando una spinta a raggiungere forme anatomiche predeterminate secondo modelli estetici dominanti, come ad esempio avere un bel sorriso con denti bianchi e dritti, magari con labbra carnose e sensuali. Ma è anche un grande limite dell’esistenza poter vedere tutto quello che desideriamo tranne il nostro viso. Io so molto bene come è fatta la mia mano, ma non ho mai conosciuto il mio volto realmente, perché l’ho solo visto in uno specchio che schiaccia e mortifica la tridimensionalità in un solo piano dello spazio e per di più in modo speculare. Anche quando lo vedo in una fotografia o in un video non è la stessa cosa. Credo sarebbe come sentire la nostra voce registrata, che non è esattamente quella che sentiamo noi.

La percezione di noi

Con questo volto reale e immaginato e con questo corpo dobbiamo fare continuamente i conti e andare d’accordo, soprattutto perché la società ce lo vende con altri fini: in economia come “forza lavoro”, per la medicina come “corpo da sanare”, per la religione come “carne da redimere”, per la psicoanalisi come “luogo della libido” e “strumento dell’Eros”. Il corpo è il nostro compagno di viaggio che ci consente di muoverci, di sentire, di vedere, di toccare: è la premessa della nostra libertà, la fonte del nostro piacere, ma drammaticamente anche la nostra prigione, come nella malattia invalidante e nella vecchiaia.

Come fa notare il filosofo Galimberti, la nostra immagine, infatti, è qualcosa che noi costruiamo continuamente, come lascia intendere la parola “faccia”, dal latino “facies” che deriva da “facio”, verbo che significa “qualcosa da costruire”. È una distorsione dell’immagine corporea: quello che vedo non coincide con quello che sono; è solo un’integrazione fra percezioni, cognizioni ed emozioni. Insomma, dobbiamo rassegnarci a un’esistenza che non potrà mai conoscere il nostro vero volto, anche quando lo amiamo, immaginandolo riflesso negli occhi di chi ci ama.

Dare forma al nostro volto

Il narcisismo imperante dei selfie del nostro tempo si fonda su una grande illusione di rappresentazione. Il diffusissimo bisogno spasmodico delle persone di pubblicare sui social i propri selfie testimonia quell’ossessiva ricerca di sé, quel bisogno insopprimibile di dar forma a quel vuoto che per ciascuno di noi è il nostro volto.

E il dramma di Narciso e la sua tragica conclusione raccontano bene l’impossibilità di afferrare la nostra immagine. E quante volte in fotografia non ci piacciamo e rifacciamo le foto o le modifichiamo con filtri vari per poter prendere quella fisionomia che non ci sembra la nostra? L’importante è farsi accettare dagli altri che ci osservano, per ottenere quel riconoscimento sociale che nutre la nostra “identità.” Interessante è l’uso degli emoticon che proprio dall’espressione del viso, corrucciato, sorpreso, allegro, triste, arrabbiato, comunicano più delle parole stati d’animo per far giungere al cuore della persona destinataria emozioni non mediate da alcun altro segno.

Il viso è dunque quella parte importante, quel vuoto che non conosciamo e che ci spalanca la finestra sul mondo. Forse per questo che il greco “stoma” e il latino “os”, oltre che “viso”, significano “bocca”, quindi “apertura”, “voragine”. Nel viso appunto c’è la bocca che è la cavità d’ingresso del nostro corpo, il luogo attraverso il quale introduciamo tonnellate di cibo per vivere.

Non dimentichiamo, inoltre, che per la psicoanalisi freudiana la fase orale è la prima fase dello sviluppo psicosessuale, in cui il piacere è derivato dalle labbra e dalla bocca, come nell’atto di succhiare al seno della madre, e che con la bocca e le mani il bambino impara ad esplorare e conoscere il mondo esterno.

È nel Seicento, l’epoca di Cartesio, che con l’affermarsi della scienza il corpo diventa un “organismo” sul quale operare. Si attua così la prima scissione del corpo e iniziamo a vivere il conflitto tra il corpo della vita, che sta nel mondo, e il corpo come organismo fatto di organi e apparati da curare. Ci viene sempre naturale, però, identificarci con il nostro corpo: non diciamo, infatti, “ho un corpo stanco” ma “sono stanco”.

La cura del corpo

Eppure, quando ci rivolgiamo alle cure mediche siamo costretti ad operare una esternalizzazione di una o più parti del corpo rivolgendoci agli specialisti. Se ho male al ginocchio, l’ortopedico lo prenderà in consegna per la cura. Così se vado dall’Odontoiatra porterò in osservazione la mia bocca, ma questa per me non è solo un organo funzionale: è soprattutto parte della mia soggettività.

Con questa parte di corpo io sto nel mondo: non è solo quindi quell’organo che mi consente l’assunzione di cibo, la masticazione, la deglutizione, ma è anche sede del gusto che percepisco, che mi fa riconoscere il buono dal non buono, è il luogo dell’articolazione della parola che mi consente di esprimermi. Ma soggettivamente è soprattutto una parte intima, che si relazione con il mondo e con l’altro diverso da me, strumento dell’Eros, fonte di percezione e di piacere. L’arte e la poesia, che parlano un linguaggio altro, hanno ben saputo fissare immagini indelebili; la tenerezza del bacio di Hayez, la dolce voluttà dell’oro di Klimt, la feroce supplica dei mille baci di Catullo, o l’irriverenza dei ragazzi di Prevert che si baciano davanti a chi li osserva invidiosi.

L’Odontoiatra mi guarda la bocca con i suoi sistemi ingrandenti e le sue attrezzature e la mia bocca non è più soggettività, ma diventa un “oggetto”. Anche la soggettività del medico, in quanto persona, sparisce: parla il suo sapere, per conto della scienza. Si eliminano pertanto le due soggettività, perché io divento in quel momento un “rappresentante d’organo” e il medico il tecnico di quella parte di corpo e non necessariamente capace di un rapporto umano.

Quella lingua e quelle labbra che l’ASO mi sposta e mi immobilizza per consentire all’Odontoiatra di operare non sono per me quelle parti neurologicamente più innervate (tanto da avere una rappresentazione mostruosa nell’homunculus somato-sensoriale della corteccia cerebrale). Sono l’esperienza, il vissuto, l’evocazione, il sentire la potenza del primo bacio e dell’esplorazione di un altro corpo, della relazione affettiva col mondo.

Avere consapevolezza di questi meccanismi consente all’ASO di poter accompagnare il paziente nel processo di cura con quell’umanità che gli consente di essere considerato come Persona, fatto di un corpo e di una psiche, irrinunciabili e inscindibili, e di poter ricordare la cura come esperienza positiva.

Chi è il Dott. Paride Zappavigna?

Il dr. Zappavigna ha fondato nel 1995 il “Corso biennale di formazione per Assistenti di studio odontoiatrico” per la Sede Provinciale Como-Lecco; nel 2007 ha istituito con la Scuola di Comunicazione IULM di Milano il Corso Annuale Avanzato per Segretarie di studi odontoiatrici.

Ha costituito la Dental Team Academy, di cui è attualmente Direttore, nell’ambito del sistema formativo Techne Medica srl, accreditato in Regione Lombardia, ed è curatore e autore del prezioso e conosciutissimo volume “Manuale per Assistenti di Studio Odontoiatrico”, edito da Ariesdue, gruppo Tecniche Nuove.

È inoltre Direttore scientifico della Formazione FAD per l’aggiornamento del Team odontoiatrico presso l’ente formativo Accademia Tecniche Nuove, oltre a ricoprire la carica di Membro del Comitato editoriale della rivista Il Dentista Moderno.

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